Paul Strand, il realismo della fotografia.
“ In qualsiasi luogo sperduto o meno,
che sia stato il Marocco, le isole Ebridi, l’Italia rurale, nell’Africa Nera o
nel profondo sudovest degli States, il mio intento era di essere alla ricerca
della lunga aggregazione che da a ciascun posto la sua qualità peculiare e che
plasma i profili dei suoi popoli........Così alla fine, mi accorgo che quello
che ho esplorato per tutta la vita è il Mondo davanti alla mia porta “.
Le scarne parole che suonano quasi come un epitaffio sono
invece la breve introduzione della pubblicazione di “ On my doorstep “ anche se
scritte pochi mesi prima di morire, frasi intrise di un velo di malinconia per
la malattia che lo costringeva ad abbandonare l’unica cosa che aveva amato con
tanta passione.
Paul Strand incarna in tutto e per tutto il realismo della
fotografia anche se nel lungo percorso artistico è facile ritrovare delle
incoerenze, specialmente agl’inizi quando le opere avevano una sottile e
inconscia contestazione al pittoricismo.
Dai tempi più remoti la pittura e la fotografia si
confrontano, si stimano, si odiano, ma hanno il merito dell’immaginario,
dell’interpretativo e del fantastico sulla realtà, offrendo così a chi li guarda
un senso alla creatività e la facoltà di poter ammirare le infinite sfumature delle cose e
dei soggetti.
Nella gioventù questo probabilmente Strand non lo aveva
ancora compreso a fondo, ma nel pieno della maturità la sua ritrattistica si
rivolgerà prevalentemente all’immobilità della pittura anche se in ambiti
sicuramente diversi.
Nato a New York alla fine dell’ Ottocento da una famiglia
borghese, fin da ragazzo l'orientamento di studio è indirizzati all'arte e la
letteratura, ma sceglierà di fare il mestiere di fotografo che soltanto in una
parte dell’esistenza tralascerà per impegnarsi nell’esperienza di regista, la
quale lo appagherà completamente.
In questo ramo verrà premiato molte volte e realizzerà
alcuni film.
Se gl’albori sono incerti e poco definiti la carriera avrà
due svolte fondamentali: dopo i primi lavori, tra cui anche in pubblicità dove
affronta i lati precari della professione costringendolo a svolgere incarichi
poco retribuiti e allo stesso tempo poveri di gratificazione, l’ incontro con
Alfred Stieglitz risulterà determinante per farsi conoscere ad una platea più
vasta e soprattutto per approdare al gotha della cultura newyorchese.
Durante e dopo gl’anni della Grande Guerra Stieglitz è un
personaggio intuitivo che pullula di idee, organizza mostre degl’ Impressionisti, dei
Cubisti, dei Futuristi i quali sovvertono i criteri estetici ottocenteschi e
successivamente dei fotografi secessionisti sulla Quinta Strada della Grande
Mela.
Strand dopo la prima esposizione alla galleria riuscirà a
farsi apprezzare dalla storica rivista Camera Works con cui inizierà una
collaborazione.
Steiglitz è il promotore e un Maestro di quella corrente
americana che imprimerà un modo di rappresentare l’immagine per certi versi
irripetibile: la sua figura influisce fortemente su una generazione di fotografi
che porta i nomi di Ansel Adams, Minor White, E. Steichen, E. Weston, Berenice
Abbott e molti altri.
Paul Strand s’ingloberà alla perfezione a questa scuola di
fotografia d’oltreoceano, anche se dobbiamo dire che i critici nelle loro
disquisizioni più volte hanno raccolto diversi artisti sotto un unico filone
senza tenere conto di alcune differenze tecnico espressive.
Difatti il paesaggistico Universale di Adams, epico, di
straordinaria nitidezza con metodi innovativi di stampa e senza esseri umani
nelle scene, come lo è in second’ordine quello di Minor White, oppure i duttili
nudi e sperimentali di Weston, non potrebbero essere comparati ad alcuni esteti,
per quanto bravi, ma sostanzialmente dei documentaristi.
Lo stesso Andrè Kertesz è da sempre oggetto di discussione
aperta tra gli storici se sia diventato un fotografo americano oppure no, nel
senso della manifestazione visiva, quando le sue origini erano ungheresi e
soltanto a cinquant’anni prenderà la cittadinanza statunitense trascorrendo così
un periodo della sua vita nel nordamerica.
Il secondo incontro di particolare rilevanza nel cammino
artistico di Strand avviene dopo numerosi viaggi all’estero: in un convegno a
Perugia conosce Cesare Zavattini con il quale nascerà l’occasione per fare il
libro “ Un paese “.
Il volume offre al fotografo la possibilità di raccontare
la bellezza e l'emotività di un Italia contadina nel dopoguerra, entrando con
l’obbiettivo nella spontaneità e nell’ umiltà dei villaggi, accostando volti ed
espressioni, sottolineando i rapporti che intercorrono tra i residenti, talvolta
riprendendo l’oggettistica e i manufatti della terra.
Le immagini e i testi, quest’ultimi scritti da Zavattini,
s’incentrano soprattutto nella zona di Luzzara dove era nato il direttore
cinematografico neorealista, il quale gli dispensa consigli sulle peculiarità
della comunità in un momento di particolari trasformazioni sociali.
Se l’originale idea di narrare questi luoghi in un dialogo
di penna e negativi stampati fu prevalentemente di Zavattini, un illuminazione in perfetta
simbiosi con il tempo e lo spazio, al fotografo va riconosciuto l’enorme merito
di aver esplicato con una precisa osservazione un Italia speranzosa, in attesa
di un futuro migliore ma con la volontà di lavorare e di costruire, dove lo
spettro mentale della seconda guerra mondiale non era però del tutto scomparso.
Strand aveva già attraversato le esperienze delle
pubblicazioni “ Time in New England " e soprattutto “ Le France de profil “ che
gli fece conoscere gli stili di vita europei, all’epoca molto differenti da
quelli americani, ma che probabilmente non lo avevano soddisfatto dal punto di
vista culturale e ideale.
Dal lato del mezzo meccanico e delle scelte dei derivati
fotografici Paul Strand è sempre stato un fermo assertore del bianco e nero, mai
manipolato con trucchi chimici, mentre le stampe finali erano al platino o al
palladio per estrapolare la purezza della gamma tonale sempre molto estesa
e quasi mai in alto contrasto.
Utilizzava apparecchi di grandi dimensioni, banchi ottici o
folding in ambienti esterni, i quali richiedono pazienza e precisione per avere
una perfetta messa a fuoco sui vetri smerigliati, inquadrature spesso semplici
indirizzate al detrimento dell’estetismo formale.
Nella metà degl’ anni cinquanta darà alle stampe “ Outer
Hebrides “, un reportage sulle Isole Ebridi, fotografie che ribadiscono il
concetto dell’isolamento insieme alla vastità del territorio e gl’abitanti che
riescano a viverci.
Il successivo “ Living Egypt “ è un opera in cui riesce a
dare risalto alle radici etniche e all’antichità dell' area mediterranea. Poi la
Romania nel cuore dei paesi satelliti al socialismo sovietico, un impegno
fotografico più distante dai consueti, rivolto in parte alla modernizzazione, al
movimento operaio nei cantieri navali e nel settore petrolchimico. E’
sorprendente vedere immagini
di architettura industriale e di tecnologia commisurarsi con riti, funzioni
e forme di
vita legate alla tradizione.
L’ultimo viaggio è in Ghana su invito del Presidente Nkrumah, a confermare un amore per l’esplorazione dell’ Africa che non è mai
venuta meno, ma gli rimane il desiderio incompiuto di poter visitare il deserto
del Sahara.
Ne viene fuori “ Ghana: An African portrait “, edito da
Aperture. Una collezione di splendide foto ma che cominciano a fare intravedere
i segni della malattia e della vecchiaia. Problemi di cateratta agl’occhi lo
portano a formare immagini un po’ più pastose, talvolta con ombre profonde, ma
sempre d’incredibile effetto dove si sottolinea un Umanesimo a cui è sempre
rimasto molto attaccato.
Non solo riprende la popolazione locale, ma anche
crocerossine dedite all'assistenza, operatori della solidarietà, un Africa con
le sue differenze che vuole avere un unità maggiore come negl’ altri
continenti, mentre però sono ancora vivi gl' echi del colonialismo.
Prima di morire le foto di “ The Garden “, la sua casa
francese di Orveal e dintorni, che comunque gli permetteranno di concretizzare
due portfolio. L' artista si appoggia ad alcuni
collaboratori nello svolgimento del progetto, ma tutto sommato restano
fotografie meno incisive.
Il fotografo a differenza di alcuni suoi colleghi non si è
mai stancato della professione e fino all’ultimo ha cercato di continuare a
rimanere lucido per trovare stimoli al pensiero creativo. Una forte volontà che
soltanto i problemi di salute riusciranno ad attenuarla.
Il significato del ritratto culturale nelle opere tarde di
Paul Strand è frutto del lavoro di una grande personalità artistica, sapientemente ispirato e
accostato alla metodologia formale nella presentazione dei suoi libri.
Le figure firmate da Strand restano una dimostrazione interpretate in maniera
a dir poco sublime: un metodo induttivo nella composizione della scena che li
vede in prevalenza posati, catturati con uno sguardo quasi sempre diritto alle lenti della fotocamera,
fissi, come se i soggetti ne fossero attratti.
Un tipo di fotografia che viene definita anche " diretta ",
poiché raffigura situazioni reali, uno stile che se vogliamo diffonde una certa
rigidezza a chi le osserva, la quale la usò anche Richard Avedon nel primo periodo, con la sostanziale discrepanza che erano
fotografie “ on location “ con gli sfondi telati di colore unito e le luci
artificiali.
Un esercizio che dopo Avedon stravolse completamente con la
fantasia e la genialità e che voleva per forza ampliare per rendere ancor più
monumentale la sua opera, traghettando così l' inventiva nell' opulento e stravagante ambiente della moda.
Paul Strand è un fotografo che ha fatto dell’autenticità e
dell’obbiettività una ricerca sempre costante per sviscerare tutte le
possibili sfumature della Vita, particolarmente
concentrato alle forme dell’ individualità dell' Essere, riproducendole
poi su un negativo ma che non rappresentano “ attimi storici “ o di
emblematica crudeltà, come hanno immortalato i grandi autori del fotogiornalismo
e neanche simili a quelli che vengono definiti gl' esecutori specializzati in immagini di viaggio.
Molti lo hanno definito anche un fotografo “ politico “.
Certamente è forte l’impegno, la curiosità verso il sociale e la voglia di
dimostrare lo spirito e l'anima delle popolazioni rurali, considerato
soprattutto la sua provenienza culturale tipicamente americana, la
quale lo induce anche ad andare a scrutare una parte dell’ emisfero comunista
nell’ est europeo in un epoca dove le contrapposizioni delle concezioni dei
sistemi collettivi erano molto intense.
Ma quello che rimane affascinante dell’ evoluzione
fotografica di Paul Strand sono gl’orientamenti tematici espressi nella vasta
diversificazione del linguaggio.
Se analizziamo con attenzione le produzioni, l’ artista si
rende intercambiabile tra le numerose chiavi di lettura: astrattismo,
paesaggistica, fotografia architettonica, ritratto e non dimentica il corpo
femminile anche se meno noto al pubblico rispetto a quanto descritto.
E’ un campo quello della bellezza estetica della Donna che
comunque ha soddisfatto con la bramosia della conoscenza, un tentativo di
misurarsi, di andare oltre i canoni a lui più congeniali. Numerosi scritti e saggi
fanno intendere un inclinazione verso un giornalismo che potrebbe andar bene
sulla carta stampata, ma non iniziò mai questa
professione, anche se va ricordato che diversi pezzi vennero pubblicati su
alcune autorevoli riviste.
Nella cronologia delle mostre spiccano le prestigiose sedi
del Modern Art di New York, Città del Messico, Museo dell' Arte di Filadelfia,
fotoincisioni a Stoccolma, in Germania, Paesi Bassi, a Los Angeles e
al Metropolitan.
In questi giorni 30 anni fa moriva Paul Strand e il flusso
della fotografia di oggi è a dir poco esorbitante. Sono in molti ad " accusare " questa
forma d’arte ritenendo che ci sia una proliferazione esagerata delle immagini,
soprattutto nel settore dell’editoria, la quale ha portato un livellamento a dir
poco oceanico, mentre la qualità esternata ha perduto lo smalto della
concretizzazione di un idea e di esaltare l' inenarrabile.
Sicuramente l' epoca vissuta da Strand è stata irripetibile
e non possiamo sapere se la nobile tipologia delle stampe del Maestro americano
inserite in un contesto odierno sarebbero sopravvissute alla violenta
metamorfosi del digitale e dell' elettronica. Forse potrebbero essere delle
effigie definite démodé ma sempre di un
prodigioso approfondimento intellettuale. Lo dimostra il fatto che le sue
mostre, anche se in maniera minore, continuano ancora ad avere delle richieste
ricordandoci così che quello che ci ha lasciato
rappresenta un patrimonio d' inestimabile valore nella Storia della Fotografia
del Novecento.
Gianluca Fiesoli, Marzo 2006.
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Alto Egitto 1959
Ghana 1963

Ospedale di Accra 1964
Danza rituale Ghana 1963.

Isole
Ebridi 1954
Ebridi 1954

Casa dei poveri, Luzzara 1953.
Italia 1953.
Fotografie della Fondazione Aperture e di Paul Strand ©.
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